Negli ultimi 3 giorni sul petrolio la volatilità è calata drasticamente. La guerra dei prezzi tra Arabia Saudita e Russia aveva portato il future di maggio del WTI a quotare 20.52 dollari al barile, un prezzo che non si vedeva dalla guerra del Golfo.
La volatilità monetaria del future sul crude oil in situazioni normali si muove di 1500-2000$ ma il 9 e il 20 marzo si è mosso mediamente di 4000$, più del doppio. In effetti gli ultimi 20 giorni si è presentata una volatilità del tutto anomala a rara.
Il seguente grafico mostra lo spostamento percentuale del petrolio dal 1999. Per il 70% del tempo il prezzo non si scosta di più del 2%. I maggiori spostamenti percentuali negli ultimi 21 anni sono avvenuti proprio questo marzo.
Negli ultimi 3 giorni, però, la volatilità classica e quella monetaria si sono spente: il prezzo non si è mosso di più di 0.7 punti.
Cosa sta succedendo? Probabilmente i mercati stanno aspettando la prossima mossi degli attori coinvolti: U.S.A., Arabia Saudita e Russia.
Gli Stati Uniti hanno proposto di discutere di un’eventuale decremento della produzione con l’Arabia Saudita proprio oggi, in occasione di un incontro online del g20.
“Il segretario di Stato Michael Pompeo ha sottolineato che, in qualità di leader del G20 e di leader nel settore dell’energia, l’Arabia Saudita ha una reale opportunità per rassicurare i mercati globali dell’energia e finanziari quando il mondo si trova ad affrontare una grave incertezza economica”, ha dichiarato il Dipartimento di Stato mercoledì .
Dal canto suo l’Arabia attualmente non ha la minima intenzione di rallentare la produzione che si attesta sui 12 milioni di barili al giorno, nonostante gli scenari economici nel prossimo futuro non siano rosei.
Gli Stati Uniti non ha molte armi a disposizione, come abbiamo già visto. Producono a un prezzo quasi doppio rispetto Arabia e Russia, le aziende di shale oil sono fortemente indebitate e l’intero stato è sull’orlo di una recessione.
Attualmente sono previsti tagli degli investimenti per circa 31 miliardi di dollari e sono iniziati i licenziamenti (soprattutto nel settore shale oil) per decine di migliaia di operatori.
Da parte sua la Russia tentenna. Dal punto di vista politico Putin non può permettersi un solo passo indietro nella guerra dei prezzi ma alcune grandi compagnie iniziano ad avere dubbi sulla tenuta dei loro bilanci.
Lunedì sono state convocate dal ministro dell’energia Alexander Novak le maggiori aziende del settore energetico per discutere proprio dei prezzi. Erano presenti Rosneft, Lukoil, Tatnetf e altri. La principale azienda produttrice (e quarta al mondo) Rosneft è legata strettamente al governo Putin quindi è l’unica a non fare pressioni perché la situazione cambi.
Leonid Fedun, vicepresidente di Lukoil, ha definito la battaglia saudita-russa “una guerra di logoramento che gli Stati Uniti vinceranno”. Mosca e Riyad devono riprendere i negoziati, ha affermato.
Vedremo se oggi cambierà qualcosa nella politica internazionale e come questo si rifletterà sui prezzi.
Dal canto mio penso che ci sono ben poche possibilità, al momento, che Arabia o Russia facciano un passo indietro.
Non ora, non alle condizioni americane.
Ripeto, però, che entrambe non possono reggere prezzi troppo bassi a lungo come affermano, anzi: i prezzi bassi indeboliscono fortemente due economie dipendenti in misura diversa al greggio.
Staremo a vedere.
Ditino sollevato oggi perché potrebbe ritornare la volatilità di punto di bianco.
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