L’invenzione del denaro

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L’invenzione del denaro

Quando il mercante veneziano Marco Polo arrivò in Cina nella seconda parte del tredicesimo secolo, vide molte meraviglie – polvere da sparo, carbone, occhiali, e porcellana. Una delle cose che lo colpì di più era una nuova invenzione, implementata da Kublai Khan, un nipote del grande conquistatore Genghis, nel 1260: la cartamoneta. Polo quasi non credette ai suoi occhi quando vide cosa stava facendo il Khan:

Or sappiate c’egli [il Gran Khan] fa fare una cotale moneta, com’io vi dirò. Ei fa prendere iscorza d’uno arbore c’ha nome gelso; […]. E colgono la buccia sottile […], e di quella buccia fa fare carte, come di bambagia, e sono tutte nere. E tutte queste carte sono sugellate col sugello del gran sire, e hanne fatte fare tante, che tutto il suo tesoro ne pagherebbe. E tutti quei fogli portano il sigillo del Gran Signore poiché tutte quelle monete sono fatte con la stessa autorità e solennità come se fossero d’oro o d’argento puro. In ciascuna moneta molti ufficiali a ciò deputati scrivono il proprio nome, apponendovi ciascuno la sua firma; [quindi] il capo di quegli ufficiali per incarico del Gran Kan inchiostra con il cinabro il sigillo [imperiale] e lo stampiglia sulla moneta. E allora quella moneta è autentica e se qualcuno la falsificasse sarebbe punito con supplizio estremo.

L’ultimo punto era estremamente importante. Il problema con molte nuove forme di denaro è che il popolo è riluttante nell’adottarle. Il nipote di Genghis Khan non ebbe questa difficoltà. Prese misure per assicurare l’autenticità della sua valuta, e se non la usavi – se non la accettavi per un pagamento, o se preferivi usare l’oro o l’argento o il rame o barre di metallo o perle o sale o monete o qualsiasi altro tipo di pagamento presente in Cina – il Khan ti avrebbe fatto giustiziare. Questo risolse il problema della diffusione.

Marco Polo aveva ragione ad essere stupefatto. Gli strumenti del commercio e della finanza dono invenzioni, nello stesso modo in cui opere d’arte e scoperte scientifiche sono invenzioni – prodotti dell’immaginazione umana. La cartamoneta, supportata dall’autorità dello stato, fu una fantastica innovazione, un’innovazione che rimodellò il globo. E’ difficile da ricordare: ci abituiamo al modo in cui paghiamo le bollette e in cui veniamo pagati per il nostro lavoro, alla danza dei numeri nei nostri conti bancari ed estratto conti. E’ solo nel momento in cui il sistema crolla che cominciamo a chiederci perché queste cose valgono quello che valgono. La crisi finanziaria del 2008 ha scatenato panico quando persone in tutto il sistema finanziario si chiesero se i numeri di bilancio significassero quello che dovevano significare. Come risposta diretta alla crisi nell’ottobre 2008 Satoshi Nakamoto, chiunque egli o ella o essi siano, pubblicò il libro che descriveva l’idea del Bitcoin, una nuova forma di valuta basata sul semplice potere della crittografia.

La ricerca per nuove forme di valuta non è ancora finita. Nel giugno di quest’anno [2019], Facebook ha presentato Libra, una valuta globale che si ispira alla struttura del Bitcoin. L’idea è che il valore del nuovo denaro non deriva dall’imprimatur di un qualsiasi stato ma da una combinazione di matematica, connessione globale, e nella fiducia che risiede nel social network più grande del mondo. Questo è il piano. Quanto può essere sicuro? Come facciamo a sapere quanto valgono i libra e i bitcoin, o se hanno valore? I seguaci di Satoshi Nakamoto rigirerebbero subito quelle domande e chiederebbero a loro volta: come fai a sapere quanto vale il denaro che hai in tasca?
Questo momento di invenzione finanziaria presenta qualche somiglianza al periodo in cui il denaro nella forma che comprendiamo al momento – cartamoneta supportata dalle garanzie dello stato – è stato creato. L’eroe di quella storia è la nazione-stato. In tutte le belle storie l’eroe desidera qualcosa ma deve affrontare un ostacolo. Nel caso della nazione-stato, quello che vuole fare è dichiarare guerra, e l’ostacolo che si presenta è come pagare per questa guerra.

Il sistema moderno per combattere questo problema nacque in Inghilterra durante il regno di re Guglielmo [Guglielmo III], un reale olandese Protestante che fu portato sul trono d’Inghilterra nel 1689 per sostituire re Giacomo II, inaccettabilmente Cattolico. Guglielmo era un re competente ma si portava dietro un bel fardello – una lunga disputa con re Luigi XIV di Francia. Presto l’Inghilterra e la Francia entrarono in una nuova fase di questa disputa, che ora sembra parte di un conflitto lungo secoli tra i due paesi ma che al tempo era chiamato la Guerra dei Nove Anni o la Guerra di Re Guglielmo. Questa guerra presento il solito problema: le due nazioni, come se la sarebbero permessa?

L’amministrazione di re Guglielmo trovò un modo: prendere in prestito una grandissima somma di denaro e usare le tasse per pagarne l’interesse gradualmente. Nel 1694, il governo inglese prese in prestito 1,2 milioni di sterline al tasso dell’8 per cento, ripagandolo attraverso tasse sui cargo delle navi, sulla birra, e sui distillati. In cambio, agli istituti di credito fu permesso di incorporarsi come una nuova società, la Banca d’Inghilterra. La banca poteva ricevere depositi d’oro dalla popolazione – una seconda innovazione notevole – per stampare “banconote” come ricevute per i depositi. Questi nuovi depositi erano poi prestati al re. Le banconote, essendo garantite dai depositi, erano buone come i soldi in oro, e diventarono rapidamente una nuova valuta accettata.

Questo sistema è ancora con noi e non solo in Inghilterra. L’adozione più estesa di questo schema, però, non è una storia di successo ininterrotto. Alcune delle difficoltà sono presentate nell’affascinante opera “John Law: un avventuriero scozzese del Diciottesimo secolo” di James Buchan. Law, nato a Edinburgo, era il figlio di un orafo diventato banchiere. Si trasferì a Londra nel 1692, dove poté osservare il nuovo meraviglioso modello dello stato finanziato da debito a lungo termine e cartamoneta. Uno degli effetti più significativi della cartamoneta era il modo in cui stimolava il prestito e soprattutto il trading. Law comprendeva istintivamente la finanza e amava il rischio, è facile chiedersi cosa sarebbe successo se avesse offerto i suoi servizi al governo inglese. Il 9 aprile 1694, invece, una nuova sorte fu messa in moto. Law uccise un uomo in un duello, o rissa – la differenza, come spiega Buchan, non era molto chiara – e fu mandato in prigione in attesa di un processo. Usò le sue connessioni per uscirne, come facevano i prigionieri benestanti, e scappò all’estero da criminale.

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Law passò gli anni successivi girovagando per l’Europa, imparando il gioco d’azzardo e la finanza, e scrivendo un libro, “Money and Trade Considered”, che in molti modi preannunciava le teorie moderne sul denaro. Diventò ricco; come Ditocorto nel Trono di Spade Law sembra essere stato bravo nel “strofinare due draghi d’oro e crearne un terzo”. Comprò una casa lussuosa a L’Aia e studiò in modo ravvicinato le tante innovazioni Olandesi in finanza, come l’option trading e lo short selling. Nel 1713 arrivò in Francia, che era afflitta da un dilemma che Law era ben attrezzato a risolvere.

Il re di Francia Luigi XIV, era un monarca eminente in Europa, ma il suo regno era guastato dai debiti. Il costo solito della guerra si aggiungeva a una lunga lista di costi in vitalizi – pagamenti di interessi di vecchi prestiti. Nel 1715, il Re aveva cento sessantacinque milioni di lire di reddito tra tasse e oneri doganali. Buchan fa i conti: “dopo le spese per l’esercito, i palazzi, la corte e l’amministrazione pubblica rimanevano solo 48 milioni di lire per i pagamenti degli interessi dei debiti accumulati dai grandi re che erano venuti prima”. Sfortunatamente, il conto annuale per i vitalizi e gli stipendi di cariche a vita era di novanta milioni di lire. C’erano anche lettere di credito in sospeso, della somma di novecento milioni di lire, risultato delle molte guerre; il Re non avrebbe potuto prendere in prestito denaro aggiuntivo se non avesse pagato l’interesse su quelle lettere, e quello gli sarebbe costato cinquanta milioni di lire aggiuntive ogni anno. Il governo francese era al verde.

Luigi XIV

Nel settembre del 1715 Luigi XIV morì e suo nipote, il Duca di Orléans, fu messo a guida del paese, come reggente del re bambino Luigi XV. Il Duca era peculiare. “Nacque annoiato”, osservò il grande diarista Saint-Simon, un amico d’infanzia del Duca. “Non poteva vivere se non in una specie di torrente di affari, a testa di un esercito, o gestendone le provviste, o nello scintillio dell’eccesso.” Di fronte alla crisi finanziaria dello Stato Francese, il Duca cominciò ad ascoltare le idee di John Law. Quelle idee – più o meno di condotta ortodossa viste con gli occhi d’oggi – erano straordinariamente originali per gli standard del diciottesimo secolo.

Law pensava che l’elemento importante del denaro non fosse il suo valore intrinseco; non credeva ne avesse. “Il denaro non è il valore per cui la merce è scambiata, ma il valore per cui avviene lo scambio”, scrisse. Ossia, il denaro è il mezzo attraverso il quale scambi un insieme di cose per un altro. Per Law il punto cruciale era fare in modo che il denaro si muovesse nell’economia e venisse usato per stimolare lo scambio e il commercio. Buchan scrive “il denaro deve essere usato a servizio del commercio, ed eventuali variazioni sono a discrezione del principe o parlamento in base ai bisogni del commercio. Un’idea simile, ortodossa e persino tediosa negli ultimi cinquanta anni, era reputata diabolica nel diciassettesimo secolo.”

Questa idea di Law portò il Re all’idea di una nuova banca nazionale Francese che riceveva oro e argento dal pubblico e lo prestava sotto forma di cartamoneta. La banca accettava anche depositi sotto forma di debiti governativi, permettendo alle persone di rivendicare il valore intero dei debiti che stavano scambiando a forte ribasso: se avevi un pezzo di carta che dichiarava che il re ti doveva mille lire, potevi, per esempio, riceverne solo quattrocento lire sul mercato libero, ma la banca di Law ti accreditava l’interezza di mille lire in cartamoneta. Questo significava che le risorse in cartamoneta della banca superavano alla lunga quelle d’oro, facendo di questo sistema un precursore della “riserva frazionaria” che è normale al giorno d’oggi. La banca di Law, secondo alcune stime, aveva in circolazione almeno quattro volte più cartamoneta che riserve di oro e argento. Una stima conservatrice per gli standard del banking moderno. Una banca degli Stati Uniti con riserve inferiori a centoventiquattro milioni di dollari è costretta ad avere una riserva di carta moneta pari al solo tre per centro.

La nuova cartamoneta aveva una caratteristica seducente: aveva la garanzia di essere commerciata ad un peso specifico di argento e, a differenza delle monete, non poteva essere fusa o svalorizzata. In poco tempo, le banconote venivano scambiate a più del loro valore in argento, e Law fu fatto Controllore Generale delle Finanze, a capo dell’economia dell’intera Francia. Inoltre, convinse il governo ad affidargli il monopolio del commercio con le colonie francesi in America del Nord, sotto forma della Compagnia del Mississipi. Fondò la compagnia nello stesso modo in cui aveva fondato la banca, con depositi pubblici scambiati con azioni. Usò, poi, il valore di quelle azioni, che crebbe vertiginosamente da cinquecento a diecimila lire, per ripagare i debiti del Re. L’economia francese, basata su tutti quegli affitti, vitalizi, e stipendi, fu sostituita da quella che Law chiamava il suo “nuovo Sistema di Finanza”. L’uso dell’oro e dell’argento fu vietato. La cartamoneta era ora moneta legale [moneta fiat], sostenuta dall’autorità della banca e nient’altro. Al suo apice, la compagnia era prezzata al valore doppio dell’intera capacità produttiva della Francia. Come denota Buchan, questo è il valore più alto mai raggiunto da qualsiasi compagnia ovunque nel mondo.

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Finì in disastro. Le persone cominciarono a chiedersi se questi investimenti così immediati e lucrativi valessero davvero quello che dovevano; poi cominciarono a preoccuparsi, poi cominciarono ad andare nel panico, poi a chiedere di avere il loro denaro indietro, poi a protestare quando non era possibile. L’oro e l’argento furono reintrodotti come denaro, la compagnia fu sciolta, e Law fu licenziato dopo cento quarantacinque giorni di carica. Nel 1720, in rovina, lasciò il paese. Si spostò da Bruxelles a Copenhagen a Venezia a Londra e poi ancora a Venezia, dove morì, al verde, nel 1729.

La grande ironia della vita di Law è che le sue idee furono, secondo la prospettiva moderna, estremamente corrette. Le navi che andarono all’estero per conto della sua grande compagnia cominciarono a creare profitto. Il revisore che sfogliò i libri della compagnia constatò che essa era completamente solvibile – cosa che non sorprende, quando consideriamo che le terre che possedeva in America ora producono trilioni di dollari in valore economico.

Oggi viviamo una versione del sistema di John Law. Ogni stato nel mondo sviluppato ha una banca centrale che produce cartamoneta, manipola l’offerta di credito nell’interesse del commercio, usa riserva frazionaria, e presenta società per azioni che pagano in dividendi. Tutti questi elementi furono portati in Francia, praticamente simultaneamente, da John Law. Il suo più grande e probabilmente inevitabile sbaglio è stato quello di sottovalutare la volatilità che le sue invenzioni introdussero, specialmente i rischi creati da credito. Il suo periodo di brillante successo in Francia non lascio che due monumenti. Uno fu creato dal Duca di Borbone, che incassò le sue azioni nella compagnia e usò il suo guadagno inaspettato per costruire le Grandi Scuderie a Chantilly. “John Law sognava una popolazione lavoratrice ben nutrita e riviste di prodotti per la casa e merci estere,” afferma Buchan. “Il suo monumento è una cattedrale per il cavallo.” L’altra sua eredità è la parola “milionario”, parola creata per la prima volta a Parigi per descrivere i beneficiari del grande schema di Law.

Come hanno fatto queste idee – un tempo considerate strampalate – a diventare parte integrante della rete moderna della finanza e del governo? Provando e sbagliando. Non è successo perché persone intelligenti hanno capito tutto subito e l’hanno messo in pratica simultaneamente, come ha provato a fare Law. Il sistema economico moderno si è evoluto gradualmente, e l’evoluzione comporta innovazione, ripetizioni, fallimenti, e vicoli ciechi. In finanza, comporta una serie di bancarotte, panici, e crisi, perché, come scrive James Grant nella sua vivace biografia del banchiere-giornalista vittoriano Walter Bagehot, “in finanza ed economia, continuiamo a calpestare gli stessi rastrelli.”

Walter Bagehot

Bagehot ne sapeva molto a riguardo. Crebbe in Inghilterra occidentale in una famiglia che aveva legami stretti con una banca locale di successo, Stuckey’s. Dopo aver frequentato l’università e aver provato a diventare avvocato, si rivolse al giornalismo e all’attività bancaria, dove la seconda finanziava la prima. Sposò la figlia di James Wilson, che aveva fondato The Economist nel 1843 – e di cui Bagehot divenne il terzo redattore – e visse una vita che dall’esterno sembrava abbastanza noiosa. L’interesse per Bagehot nasce dalla sua scrittura amante del paradosso, folgorante, e arguta, e in particolare dai suoi due capolavori: “The English Constitution” del 1867, che riassume per iscritto l’insieme delle politiche istituzionali della Gran Bretagna, e “Lombard Street” del 1873 che spiega il funzionamento del banking. Questi due libri sono ancora disponibili oggi ma sono sempre stati d’interesse solo per gli specialisti – o secchioni – fino a che Ben Bernanke menzionò Bagehot come influenza importante dietro ai salvataggi delle banche nel 2008. Ciò portò ad una rianimazione nell’interesse, che portò alla scrittura di “Walter Bagehot: la Vita e i Tempi del più Grande Vittoriano” di Grant.

Dire “il più grande” è un po’ tendenzioso, soprattutto perché Grant – che è anche il fondatore del Grant’s Interest Rate Observer – spiega chiaramente che Bagehot era un orgoglioso misogino e razzista (“Ci sono razze nell’animale umano come ce ne sono nel cane”) e un grande ipocrita. Quest’ultima sua qualità era utile dal punto di vita giornalistico; Bagehot era abilissimo nel modificare schieramento senza mai ammettere di aver cambiato idea. Per esempio, una vittoria Confederata nella Guerra Civile era “un fatto certo”, e il presidente Lincoln era “disonesto e sciocco”, dichiarazioni che non impedirono a Bagehot di affermare, una volta che l’Unione aveva avuto la meglio, che “il panico non ha scoraggiato nemmeno per un momento il coraggio di ferro della democrazia Americana”. La sua elegia per Lincoln è veramente un bel testo: “le difficoltà, invece di irritarlo come fanno a molti uomini, hanno solo aumentato il suo affidamento alla pazienza; l’opposizione, invece di ulcerarlo, lo ha solo reso più tollerante e determinato.”

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In un certo senso, l’ipocrisia pretenziosa e la mancanza di principi di Bagehot furono il suo punto forte. Il suo lavoro sulla costituzione inglese si soffermava su un paradosso: lo sfarzo e la pomposità della monarchia aveva una funzione importante, affermava lui, proprio perché la monarchia non aveva nessun vero potere. Il suo lavoro sulle attività bancarie si soffermavano in simile maniera sulla differenza tra realtà ed apparenza, in particolare sul divario tra l’aria di solidità e rispettabilità tra le banche vittoriane e il fatto evidente che continuavano a collassare e fare bancarotta. Ci furono tremende crisi bancarie nel 1797, 1825, 1847, e 1857, tutte causate dalla più vecchia e semplice ragione per la bancarotta: prestare denaro a chi non può ripagarlo.

Teoricamente, tutto il denaro in circolazione durante l’era delle banche vittoria era sostenuta da depositi d’oro. Una libbra in cartamoneta era equivalente a 123,25 grani d’oro. In pratica, però, questo non era vero. Ci furono molte occasioni – di solito collegate al costo della classica guerra con la Francia – in cui il governo sospese la convertibilità della cartamoneta in oro. Inoltre, le banche potevano stampare il proprio denaro. Spesso non avevano abbastanza oro per sostenere il valore delle proprie valute nel caso in cui un cliente andasse in banca per una conversione. Questo fenomeno, la temuta “corsa agli sportelli” [“bank run”], era il risultato diretto della riserva frazionaria prefigurata da John Law. Un sistema in cui le banche non hanno riserve di cartamoneta equivalenti al loro credito sospeso funziona, a meno che abbastanza persone non si dirigano in banca per richiedere simultaneamente che la propria cartamoneta venga convertita nel suo equivalente in metallo. Sfortunatamente, questo continuò ad accadere e le banche continuarono a fare bancarotta. La posta in gioco era la stessa che aveva modellato la carriera di John Law, la stessa che occupa le nostre menti oggi: cos’è il denaro? Da dove ottiene il suo valore? Chi garantisce il valore di debito e credito?

Bagehot aveva le risposte a tutte queste domande. Lui pensava che il denaro, quello vero, fosse sempre e solamente l’oro. Tutte le altre forme di valuta presenti nel sistema rappresentavano tipi differenti di credito. Il credito era indispensabile per il funzionamento dell’economia e aiutò a rendere tutti ricchi, ma alla fine solo l’oro era moneta a corso legale, secondo la definizione stretta del termine – denaro che non si può rifiutare durante il saldo di un debito. Bagehot adorava i paradossi, e questo lo era: tutto il credito del sistema era essenziale per l’economia ma non era vero denaro, perché non era l’oro che era alla base del valore di tutto il resto.

Quindi, dov’era tutto l’oro? Nella Banca d’Inghilterra. Il ruolo di quella compagnia, una volta privata, si era evoluto. Bagehot pensava che trattenere l’oro fosse il compito della Banca d’Inghilterra, così che non dovessero farlo le banche più piccole, che invece accettavano depositi, facevano prestiti, e emettevano cartamoneta. Se mai fossero finite nei guai – cosa che spesso accadeva – la grande banca le avrebbe aiutate. “La fonte primaria del profitto del banking è la limitatezza del capitale richiesto”, ha scritto Bagehot. Il modo moderno di parlarne oggi sarebbe in termini di return on equity della banca. Meno equity serve alla banca per mantenere il proprio margine di sicurezza, più denaro può prestare e, conseguentemente, più profitto può ottenere. L’oro era essenziale per garantire la valuta, ma i banchieri non volevano che occupasse troppo spazio importante nei loro bilanci. Era meglio lasciare che se ne occupasse il governo, sotto forma della Banca d’Inghilterra.

Abbiamo ancora una versione di questo sistema, in cui le garanzie governative sostengono la redditività delle banche. Il ruolo cruciale della banca centrale è quello di prestare denaro liberamente in momenti di crisi, essere, cioè, quello che viene chiamato il “prestatore di ultima istanza”. Grant, che ammette di avere bias liberali, vede questa dottrina come il seme del fondo di garanzia dei depositanti e il resto della macchinazione moderna del rischio finanziario socializzato.

Come John Lae e Walter Bagehot, anche io [John Lancaster] sono figlio di un uomo che lavorava in banca e ho quindi le solite domande da figlio di banchiere che mi ronzano in testa mentre leggo il libro di Grant: cos’è successo alla banca di Bagehot? La risposta è che Stuckey’s è stata acquisita da un’altra banca, la Parr’s, nel 1909. Parr’s era parte della più grande Banca Nazionale Westminster, che fu acquisita dalla Banca Reale di Scozia (Royal Bank of Scotland) nel 2000. La R.B.S crebbe nel tempo fino a diventare, acquisizione dopo acquisizione, nei primi anni di questo secolo, la più grande compagnia del mondo come viene dimostrato dalle dimensioni dei suoi bilanci. Poi arrivò la stretta creditizia e il momento in cui tutto si svelò non avere il valore che avrebbe dovuto avere. La più grande banca del mondo fu, secondo il suo presidente, vicinissima al collasso – “un paio di ore”. Il risultato fu un enorme bailout e la nazionalizzazione della R.B.S che costò quarantacinque miliardi di sterline ai contribuenti inglesi.

Questa storia non avrebbe sorpreso più di tanto John Law e Walter Bagehot che, forse, però, sarebbero stati divertiti nel vedere quanto poco abbiamo imparato. Per quanto riguarda cosa bisogna fare con i banchieri responsabili del crash, probabilmente Kublai Khan avrebbe qualche idea.

(John Lancaster. The Invention of Money. The New Yorker. 29 lug 2019. Published in the print edition of the August 5 & 12, 2019, issue. https://www.newyorker.com/magazine/2019/08/05/the-invention-of-money)

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